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VIVERE IN UN MONDO GLOBALE

 LA GLOBALIZZAZIONE è UN BENE O UN MALE?

La globalizzazione è un fenomeno che suscita dibattiti e prese di posizione spesso contrastanti.  La percezione del mutamento rapido e radicale che il mondo sta attraversando è avvertita, in misura più o meno elevata, da tutte le persone, e per questo diventa fonte di interrogativi e valutazioni.  Ci si chiede, quali effetti porterà alla vita degli individui questo mutamento di proporzioni mondiali, e se gli svantaggi sopravanzeranno i benefici oppure no.  Da un lato, la realtà di un mondo spazialmente più compatto, in cui le distanze sono accorciate e la mobilità di cose, persone e idee si sviluppa con estrema facilità, è indubbiamente vista con simpatia.  Lo sviluppo delle tecnologie della comunicazione e le straordinarie opportunità che esse offrono in termini di accesso tutte le informazioni e di operatività generano l'idea di una "comunità" mondiale, in cui le domande più importanti possano essere finalmente affrontate e risolte con strumenti adeguati .



Riferendoci più specifiche all'aspetto economico della globalizzazione, abbiamo gia fatto cenno a come questa dimensione sia vista e considerata in termini differenti a seconda dei punti di vista.  Coloro che sono favorevoli intravedono in essa una possibilità promettente, soprattutto per l'impatto che potrebbe avere sulle zone più povere del mondo.  Şi auspica che la delocalizzazione e in generale gli investimenti produttivi nei paesi in via di sviluppo possano ridurre il gap che attualmente li separa dagli Stati più industrializzati e produrre così una più equa redistribuzione della ricchezza a livello mondiale.    Accanto a questi dati esistono tuttavia altri elementi, che inducono una meno ottimistica valutazione del fenomeno. Gli investimenti delle imprese nei paesi in via di sviluppo non si sono distribuiti in modo uniforme, ma si sono concentrati in precise regioni del mondo .  In molti paesi, inoltre, rimane precaria la situazione del proletariato industriale, che lavora con salari bassissimi e senza alcuna tutela sindacale, fenomeno che porta spesso allo sfruttamento della manodopera minorile.  Secondariamente, alla diminuzione della povertà assoluta si è accompagnato  un aumento del divario tra ricchi e poveri: ancora oggi una percentuale ristretta della popolazione mondiale detiene la maggior parte della ricchezza del pianeta e questa élite  vive perlopiù in occidente. Gli esperti di statistica descrivono queste situazioni attraverso il coefficiente di Gini, cioè il rapporto tra la concentrazione di un determinato carattere quantitativo presente nella popolazione e la sua ideale equidistribuzione all’interno della stessa.

UN’ALTERNATIVA È POSSIBILE?

La percezione dei fattori di criticità della globalizzazione come sintomi di un'oggettiva situazione di pericolo e iniquità, e la volontà di orientare l'economia globale in una direzione non esclusivamente dominata dalle logiche del profitto, ma sensibile anche alle istanze dei paesi più poveri e dell 'ambiente ha generatore nell'opinione pubblica un atteggiamento diffuso di critica, che ha assunto forme diverse e si è spesso tradotto in concrete iniziative operative.  Particolare visibilità ha, a livello internazionale, il movimento no global.  Nato nel 1999 a Seattle, in occasione del vertice del wro (World Trade Organization) sul commercio mondiale, esso comprende una vasta rete di gruppi e associazioni, spesso molto diversi tra loro per orenitamento ideologico, modalità e obiettivi politici della loro azione, che si  oppongono alla politica delle organizzazioni economiche mondiali e delle imprese transnazionali e proposte una globalizzazione alternativa, a beneficio dei paesi in via di sviluppo e dei settori più deboli della popolazione mondiale. Alcuni sociologi ritengono più corretta la denominazione "new global", dal momento che gli stessi protagonisti del movimento sostengono che la loro protesta non è contro la globalizzazione, ma per una globalizzazione diversa, solidale, rispettosa dell'ambiente che si ponga dalla parte dei paesi in via di sviluppo e delle culture che rischiano di scomparire in seguito alla diffusione del modello di vita occidentale. 



Il movimento no global, che ha una struttura transnazionale aperta a rete, apprezza le infrastrutture e le tecnologie odierne, di cui si serve ampiamente;  ad esempio per comunicare all'interno e con l'esterno si avvale di Internet, che è considerato un mezzo di comunicazione democratico, capace di veicolare e diffondere ovunque informazioni corrette.  Altrettanto importanti sono la possibilità di spostarsi velocemente e le opportunità di incontro tra culture varie offerte dai mezzi di trasporto.  

LA TEORIA DELLA DECRESCITA 


La preoccupazione per gli squilibri sociali e ambientali dell'economia globalizzata ha indotto molti intellettuali a mettere radicalmente in discussione i presupposti su cui essa si regge, ovvero  l'idea di sviluppo che vi è sottesa.  Una critica particolarmente radicale a questo modello è rappresentata dalla cosiddetta teoria della decrescita, che ha, tra i suoi esponenti principali, il filosofo ed economista francese Serge Latouche.  La teoria della decrescita parte dal presupposto che il concetto di sviluppo su cui si fonda la società industriale contemporanea sia viziato da un equivoco di base, ossia la tendenza ad assumere la crescita del PIL come il parametro più significativo.  Il PIL è un dato puramente numerico, che indica la quantità di beni e servizi prodotti in un certo Stato, in funzione dei consumi dei cittadini. Il suo aumento quindi non equivale necessariamente a benessere, anzi spesso si pone in contrasto con esso. Secondo i teorici della decrescita, tuttavia, un modello di sviluppo che persegua solo il forsennato aumento della produttività non compromette soltanto la qualità della vita, ma ne metterebbe oggettivamente in pericolo le fondamenta.  Un tale modello espone infatti il ​​pianteta a uno sfruttamento selvaggio, insostenibile sia in termini di capacità  di rigenerazione della biosfera, sia in termini di distribuzione equilibrata delle risorse: è stato calcolato che se tutti gli abitanti del mondo consumassero come i popoli del ricco occidente la Terra dovrebbe sestuplicare le sue dimensioni per supportare un simile impatto.  Di fronte a una prospettiva, è necessario modello economico alternativo, basato sulla riduzione dei consumi e, in generale, sul ridimensionamento del ruolo del mercato nel soddisfacimento dei bisogni umani.  Si tratta di un programma che chiede l'impegno di tutti e che può essere intrapreso, a piccoli passi, anche nella nostra  quotidianità, grazie a comportamenti critici e responsabili come il riciclaggio o il riutilizzo degli oggetti, l'autoproduzione dei beni , l'attivazione di scambi non mercantili con le altre persone.

LA COSCIENZA GLOBALIZZATA

 La globalizzazione ha effetti decisivi anche sul modo in cui le persone vivono e percepiscono la loro vita.  Ognuno di noi ha la sensazione che in poco tempo la realtà sia cambiata e che tali mutamenti, lungi dall'essersi esauriti, dovarnno continuare ancora indefinitamente.  In altre parole, abbiamo la percezione che il mondo sia improvvisamente diventato "più piccolo", che la velocità con cui i mezzi di comunicazione ci informano degli eventi abbia di colpo reso familiare ciò che un tempo era avvertito come estraneo o scarsamente rilevante per la nostra esistenza .  Come notava ironicamente nel 1999 Anthony Giddens, la maggior parte di noi può scoprire che la faccia di un personaggio politico internazionale gli è più familiare di quella del suo vicino di casa.  In questo contesto globaliZzato, le persone vivono anche il sentimento di un'interdipendenza globale: sono cioè consapevoli che quanto avviene in qualsiasi punto del mondo - si tratti di una crisi politica, di una congiuntura economica o di una catastrofe naturale  può avere effetti decisivi sul mondo e sulla vita di tutti.  Questa sensazione, se da un lato può favorire la maturazione di una coscienza critica e di un sentimento di responsabilità collettiva, da un altro lato può per converso generare un senso di smarrimento e di impotenza, nella misura in cui l'individuo ha l'impressione che il complesso degli eventi e delle loro relazioni sia al di là della sua capacità di comprensione e controllo.  Anche la ricchezza e rapidità con cui le informazioni ci raggiungono, accresce questa impressione, impedendoci spesso di distinguere, nel caos dei dati cui disponiamo, ciò che è affidabile da ciò che è dubbio, ciò che è fondamentale da ciò di Minore importanza, ciò che è definitivo da quanto invece è in fase di evoluzione.  L'uomo globalizzato vive pertanto in una situazione psicologica di precarietà e incertezza, in cui l'inadeguatezza di fronte ai continui mutamenti si sposa con I Impossibilita di costruire situazioni stabili, sul piano professionale e su quello degli affetti, nell'appagamento di bisogni materiali e non.  Per designare questa peculiare situazione dell'uomo globalizzato il sociologo polacco Zygmunt Bauman  ha coniato l'espressione vita liquida.



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