MARX E IL PLUSVALORE
Marx nel saggio intitolato Il capitale (forse la sua opera più importante, pubblicata nel 1867) interpreta il concetto di salario e lavoro la nota teoria del plusvalore.
La teoria del plusvalore
Semplificando, il fulcro di questa teoria è che il salario non costituisce il corrispettivo della ricchezza che il lavoratore produce con la sua attività, ma solo la cifra con cui il capitalista compra la sua forza-lavoro, ossia la sua disponibilità a lavorare. Per spiegarci con un linguaggio a noi più viCino, un operaio che riceva un compenso orario di 20 euro, in realtà in tale arco di tempo produce merci per un valore superiore, poniamo di 100 euro: la somma che non gli viene corrisposta (80 euro) viene "intascata' dal datore di lavoro, che provvederà a reinvestirla parzialmente. Il "plusvalore pertanto, designa quel "sovrappiù" di valore che il lavoratore è in grado di realizzare, in un tempo determinato, grazie alla sua attività, ma di cui è sistematicamente defraudato dal capitalista.
Il saggio di profitto e la sua caduta
L'accumulazione del plusvalore è il presupposto per la crescita dell'economia capitalista, ma a lungo andare è, secondo Marx, il meccanismo occulto che ne decreterà il crollo inesorabile. Proseguendo nella sua analisi, infatti, Marx sostiene che l'effettiva percentuale di guadagno realizzata dall'imprenditore (che egli denomina "saggio di profitto) scaturisce dal rapporto tra il plusvalore stesso e le spese necessarie per la produzione (cioè il capitale variabile, ossia il costo dei salari, sommato al capitale costante, ovvero al denaro investito nell'acquisto di materie prime, macchinari e altre risorse inanimate), secondo la formula:
saggio plusvalore di profitto capitale variabile + capitale costante
Il progressivo incremento della meccanizzazione, a cui si assiste nella società industriale, fa crescere la quota del capitale costante rispetto a quella del capitale variabile. Ciò può apparire, a prima vista, un fattore di guadagno, giacché l'impiego delle macchine permette di ridurre la manodopera e di tagliare così le spese sui salari. Ma il risparmio sul capitale variabile è in realtà un vero e proprio boomerang: esso riduce infatti il plusvalore - fondamento stesso del profitto - perché questo può scaturire solo dal lavoratore e non dalla macchina. A ciò si aggiunge il fatto che l'impoverimento della classe lavoratrice, minacciata dalla disoccupazione, restringe il numero dei potenziali acquirenti delle merci prodotte, rendendone così impossibile lo smaltimento e vanificando di fatto l'aumento della produttività che la meccanizzazione ha generato. Il risultato, secondo Marx, è una caduta inesorabile del saggio di profitto, drammaticamente in contrasto con l'incremento di ricchezza che il sistema capitalistico persegue, e destinata, a lungo andare, a fare precipitare quest'ultimo in una crisi senza ritorno.
Commenti
Posta un commento