LA DISOCCUPAZIONE
Se è facile spiegare che cosa sia il tasso di disoccupazione e calcolarne l'entità, più complesso, paradossalmente, è dire che cosa sia la disoccupazione.
In generale, possiamo definirla come la condizione degli individui che, pur essendo idonei a svolgere un'attività lavorativa e desiderosi di lavorare, non trovano un'occupazione. Tuttavia la connotazione negativa che il termine assume in questa definizione (disoccupazione come un male, come un problema) è relativamente recente, e non solo nel caso italiano. La stessa evoluzione semantica, infatti, si riscontra anche in altre lingue: in inglese, ad esempio, il termine unemployed, che traduciamo con "disoccupato", originariamente designava semplicemente "colui che non lavora", indipendentemente dal fatto che cercasse o meno un'occupazione. Queste oscillazioni di significato sono dovute principalmente a due fattori: primo, il fatto che la disoccupazione come problema sociale è un fenomeno moderno, sconosciuto alle società preindustriali; secondo, il fatto che di tale fenomeno sono state date, come vedremo, interpretazioni molto diverse.
Gli economisti distinguono inoltre diversi tipi di disoccupazione:
- si parla di disoccupazione frizionale per indicare l'esistenza, sempre presente nel mercato del lavoro, di persone in cerca di un'occupazione, o, detto in altri termini, la costante esistenza di uno scarto, anche minimo, tra popolazione attiva e numero degli occupati. Si può presumere cioè che, anche in un periodo di crescita economica, ci sia qualcuno che almeno per un breve periodo sia alla ricerca di un lavoro;
- l'espressione disoccupazione strutturale designa invece la mancanza di occupazione conseguente allo squilibrio tra domanda e offerta di lavoro. Se in un certo contesto economico le aziende richiedono lavoratori provvisti di certe competenze, ciò viene inevitabilmente a escludere le persone che ne sono prive; viceversa, se diminuisce la domanda di lavoro per un certo tipo di professionalità, molti lavoratori anche qualificati possono rimanere senza lavoro.
A queste due tipologie occorre poi aggiungere:
- la disoccupazione stagionale, conseguente al calo di produzione che fisiologicamente si verifica in certi periodi dell'anno: ad esempio, l'inverno per il settore edilizio;
- la disoccupazione ciclica, che fa capolino nei periodi di crisi economica, quando il calo della domanda di beni e servizi fa diminuire la produzione, provocando ripercussioni negative sull'occupazione.
Per molto tempo la fiducia nelle regole del libero mercato — sottesa alla legge di Say e in generale alle teorie economiche di ispirazione liberista ha condizionato l'approccio al mondo del lavoro e ai suoi problemi, influenzando in modo rilevante anche l'opinione pubblica in materia.
L'idea che domanda e offerta di lavoro si armonizzino spontaneamente grazie alle oscillazioni del costo del lavoro (cioè dei salari) porta infatti a escludere, in linea di principio, la possibilità che esista della forza-lavoro non occupata, se non per breve tempo e per ragioni contingenti (ad esempio, una scarsa mobilità territoriale, per cui le persone non si spostano verso i luoghi dove è più alta la domanda di lavoro, oppure un'insufficiente informazione sulle possibilità occupazionali esistenti sul territorio). In altre parole, esisterebbe soltanto disoccupazione frizionale, e anche nel caso in cui il fenomeno assumesse proporzioni maggiori e più durature, ciò sarebbe dovuto soltanto alla cattiva volontà degli individui, che non cercano lavoro in maniera adeguata o che non sono disposti ad accettare gli impieghi che vengono loro proposti.
Questa concezione ha contribuito, nella sua versione più grossolana, a diffondere nell'opinione pubblica un vero e proprio pregiudizio, secondo il quale chi non trova un impiego è responsabile della propria condizione, perché pigro o eccessivamente _pretenzioso.
Rispetto a questa posizione non sono ovviamente mancate, fin dall'inizio, le voci di dissenso. David Ricardo, ad esempio, fin dall'opera Sui principi dell'economia e della tassazione (1817) riconosce che l'introduzione di nuovi macchinari può essere dannosa per i lavoratori, perché provoca un'eccedenza di manodopera. Marx, nel Capitale, parla di collegamento strutturale tra il fenomeno della disoccupazione e le dinamiche tipiche dell'economia capitalistica, individuando nei disoccupati un "esercito di riserva funzionale all'espansione produttiva. Tuttavia, malgrado tali critiche, l'impostazione individualistica che attribuisce alla singola persona la responsabilità del suo mancato impiego è stata a lungo dominante.
Solo in tennpi più recenti si è diffusa la pcrcczionc della disoccupazione come autentico problema sociale, non liquidabile nei termini di una semplice scelta individuale: come sostiene lo storico statunitcnsc John Garraty ( 1920-2007), si deve alle società contemporance la "scoperta" della disoccupazione, se non addirittura la sua "invenzione", nella misura in cui sono proprio tali società ad aver contribuito a creare e ad aver riconosciuto i problemi specifici incrcnti alla domanda e all'offerta di lavoro.
Storicamente è stata la cosiddetta "grande depressione" successiva al crollo di Wall Street nel 1929 a inflixgere, con i suoi 13 milioni di ex-occupati, un duro colpo ai sostenitori della teoria della "disoccupazione volontaria": il piano di riforme economiche e sociali promosso in tale circostanza da Franklin Delano Roosevelt (1882-1945), presidente degli Stati uniti d'America dal 1933 al 1945, che predispose una serie di interventi pubblici mirati a incrementare l'offerta di lavoro, rappresenta in qualche modo l'esplicita e pubblica ammissione della tesi secondo cui il mercato non sempre riesce da sé a invertire la propria rotta.
Ora, per incrementare la domanda aggregata è necessario, secondo Keynes, Statcuche aumentando la spesa pubblica (ad esempio, costruendo strade e infrastrutture oppure Offrendo ai cittadini maggiori servizi nel campo dell'istruzione, dell'assistenza sanitaria ecc.) favorisce la ripresa dell'occupazione.
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